• A Buenos Aires senza tango, tra bettole e librerie

    Venti giorni a Buenos Aires e sono riuscito a non incrociare mai qualcosa che avesse a che fare con il tango. Mai, dico, felice per avercela fatta. Prima di partire mi avevano spiegato che a Buenos Aires c’erano tre modi per divertirsi, ammesso che a me interessasse divertirmi: tango, tango e, infine, tango. Oggi, su questo volo che dall'aeroporto Ministro Pistarini mi riporta a Roma e poi a Nizza - i viaggi belli devono iniziare da posti belli, mi avevano proposto cose come Milano, ma gli ho detto se erano matti - mi è chiaro che, se sai muoverti con cautela, certe scocciature onnipresenti riesci ad evitarle. Buenos Aires è una metropoli fondata sulla cultura, milioni e milioni di persone, credo dodici ma da quassù non posso verificare, che ad ogni ora formano lunghissime code all'ingresso di centinaia di librerie, teatri, cinema e café. Qui le persone sono davvero tante, sono ovunque, e tutto questo è organizzato nei quartieri di una città dove una sola via è diagonale, la Diagonal Norte, il resto è tutto un caos perfettamente ortogonale. Allora c’è chi vive a Ricoleta, chi sta a Retiro (beh, fatevelo raccontare, Retiro), chi traffica oltre le porte del Barrio Chino più piccolo del mondo, chi la domenica va a San Telmo e il venerdì sera in un locale a Palermo per bere qualche Jarra di Fernet e Cola, la cosa più dannosa sul medio-lungo periodo, se superi la mattina dopo.

    Per le vie di Buenos Aires - foto di Enrico Ratto
    Per le vie di Buenos Aires - foto di Enrico Ratto
    Buenos Aires è una metropoli talmente ricca di cose diverse che il modo migliore per visualizzarla è partire da questo aereo. Qui sopra, tre quarti sono sicuramente argentini, c’è qualche italiano, c’è qualche triste europeo che ha pagato un biglietto aereo per il circo e ora sta tornando alla sua quotidianità, ci sono almeno sei file di ebrei ortodossi e musicisti con borse piene di aggeggi che trovi e provi in strada a San Telmo, ci sono alcune ventenni molto belle che finché non scopriranno cosa ne pensiamo di loro in Europa vivranno in modo semplice e disinteressato. Tutti loro, per forza di cose, fino a due ore fa, erano a Buenos Aires, è così che funzionano le magie.

    É così che funzionano le magie - foto di Enrico Ratto
    É così che funzionano le magie - foto di Enrico Ratto
    C’è chi si aspetta una Parigi a testa in giù, sudamericana, grandi spazi, alte cupole e tutto un po’ più instabile. Beh, questi larghi marciapiedi di Corrientes, pieno centro, a Parigi li puoi trovare in una banlieu ridotta male a quindici chilometri da rue de Rivoli. È questa l'estetica di Buenos Aires, che crea dipendenza in cinque giorni, perché qui dell’agio di Parigi non c'è traccia, qui c'è un sistema di vita, il che è più forte, addio facciata, solo contenuto. I marciapiedi non sono un indicatore casuale. Nel tempo si rompono, nessuno interviene perché non c’è più nessuno preposto ad intervenire su certe cose, una domenica mattina il proprietario di un negozio o di un chiosco decide di aggiustare il proprio metro quadrato, circonda la zona con del nastro, ma si accorge di non avere le piastrelle adatte, quindi crea un patchwork di colori e forme in cui non puoi far altro che inciampare, saltare, e pensare che un giorno questo genere di convivenza potrà realizzarsi anche da te e che non sarà poi un grande problema. Vi consiglio di iniziare ad inciampare per lunghi pomeriggi sulla Rivadavia, la via più lunga del mondo, diciotto chilometri che nascono a Plaza de Mayo, proseguono in Piazza Miserere, escono dalla città, e passano attraverso negozi, banchi, mercati, chioshi di libri usati, passaggi a livello, ferrovie più o meno frequentate, palazzi antichi che si specchiano e si accartocciano sulle facciate di edifici tirati a lucido. Tutto questo, tra gli autobus Mercedes che sfrecciano a ottanta all’ora e attraversare col rosso è proprio l’unica regola da non infrangere, in questa città.

    Alquilo - foto di Enrico Ratto
    Alquilo - foto di Enrico Ratto
    La Rivadavia, nella sua prima parte ancora in città, costeggia Plaza Miserere. Genova, Napoli, cose che ti possono interessare come il Rione Monti a Roma e San Salvario a Torino sono delle miniature folkloristiche che se le giri scende la neve. A Miserere centinaia, migliaia di peruviani, paraguagi, porteni ogni giorno aprono i loro banchi ed espongono qualsiasi cosa, la vendono, la scambiano, molta la rivendono. Piazza Miserere è l’area più bella di Buenos Aires. Gildo è il ristorante, perché se scrivo “bettola” potreste immaginare una cosa tirata a lucido, in cui i quattordici gradi e mezzo del vaso de tinto vengono ammazzati da enormi ventilatori che spazzano via tutto, si mangia pasta, stufato, pizza e cose che non si sa, però, davvero, non andate a lavarvi le mani in quel bagno.

    Da Gildo - foto di Enrico Ratto
    Da Gildo - foto di Enrico Ratto
    Buenos Aires è una città piena di bettole, a chi piacciono. Sono locali di una raffinatezza inespressa per cui potrebbero triplicare i prezzi se solo potessero, ma non lo fanno perché, appunto, questa raffinatezza non la puoi toccare, la respiri. In San Telmo c’è un locale simile a Gildo, il suo nome è Pedro e qui si mangiano fideos tirati fuori da un barile, qui i figli e nipoti della proprietaria devono passare a riprendere le ordinazioni della abuela perché lei lo fa solo per tradizione, passare la comanda in cucina non è suo dovere. Tutto ciò ispira discorsi sul relativismo delle cucine. È da Pedro che, dopo trent'anni di presunta cultura mista ad un accertato snobismo, pensi: cazzate, quelli che ti fanno vedere tutte quelle foto del viaggio e non mangiano pasta all’estero non hanno capito nulla. La cucina cambia nel giro di un quartiere, figurarsi come può presentarsi uno spaghetto a tredicimila chilometri dall’Italia, e non vedo dove sia il problema se è buono. La pasta, semplicemente, non la chiami pasta, poi potete pure mangiarla e smetterla con le tradizioni, che sono il primo nemico del gusto.

    Da Pedro - foto di Enrico Ratto
    Da Pedro - foto di Enrico Ratto 
    Buenos Aires è una città libera in cui prevale il buon senso e sopra quelle cose che nella vecchia Europa chiamano persone, non c’è nulla. Forse solo i miti appesi alle pareti della Casa Rosada o esposti nelle librerie, queste sono le loro bussole e il loro collante. È importante saperlo perché tutto ciò ha ancora il potere di stupirti. Ora, vorrei chiedervi: da quanto tempo una città non vi stupisce? Non parlo di bellezza, di ricordi, di serate lungo il fiume e code ai musei. Questo non è stupore, è il minimo sindacale per uscire dalla casa #sulmonte e mettere in moto un aereo. Lo stupore è un’altra cosa. Buenos Aires sembra reggersi su sé stessa e per avere una risposta bisogna ricorrere alla sociologia spicciola: una società si fonda su due elementi, denaro e cultura. Qui hanno finito i soldi da un pezzo, e per questo aprono bettole e librerie. Santa Fe ha la più alta concentrazione di librerie al mondo, e qui c’è El Ateneo, che secondo il Guardian è la seconda libreria più bella al mondo (anche se qui l’opinione di un inglese non ha molto credito). El Ateneo è stato il mio ufficio durante le mattine a Buenos Aires, il suo wifi che funziona a tratti permette di concentrarti, il bar è allestito sul palco, oltre il sipario. Qui serve la fotografia.

    L'ufficio a El Ateneo - foto di Enrico Ratto
    L'ufficio a El Ateneo - foto di Enrico Ratto
    Potrei parlarvi ancora del Café Tortoni, dove farete qualche foto alle foto di Gardel, Borges e Cortazar, o della Biela, il café dove alla parete c’è un grande ritratto di Aldo Sessa a Jean Manuel Fangio. Immaginate Fangio, anziano, elegantissimo che si concentra nel fare quello che lo diverte di più: giocare con le sue automobiline da corsa. Ma potrei anche parlarvi di Constitución, la stazione ferroviaria al limite della linea della metropolitana che da Retiro porta ad uno degli edifici più belli di Buenos Aires, da qui partono treni che trasportano uomini, donne e tutto ciò che ne tiene alta la pessima reputazione. Davvero vuoi andare laggiù? mi hanno chiesto amici che stanno alla Boca, perché alla fine c’è sempre qualcuno che crede di essere più al sicuro degli altri. Se dovete andare al mercato di San Telmo la domenica, partite da Constitución, non da Plaza de Mayo, è il percorso inverso che fa la differenza.

    http://en.wikipedia.org/wiki/Juan_Manuel_Fangio
    Fangio con le sue automobiline da corsa - foto di Enrico Ratto
    Bene, ora c'è un tizio molto grosso qui alla mia sinistra che, oltre a non staccare gli occhi dal mio monitor, in queste prime sei ore di volo ha manifestato un’unica necessità: cerveza, cerveza, cerveza e ancora una cerveza, por favor. La moglie guarda un film e ride, non dev’essere quello della sua vita. "Da dove viene?" gli domando. "San Carlos De Bariloche, the best town in the world”. E così vi ho fatti arrivare fin qui per convincervi che fosse Buenos Aires la più bella città del mondo, e forse stavate iniziando a crederci. E invece no, todo cambia alla quinta cerveza. La prossima andiamo a farcela a San Carlos de Bariloche, ovunque essa sia, e gracias Señor, ma ora si stacchi un attimo da quella lattina e canti insieme ad uno dei miti di questa nazione, Y asi como todo cambia, que yo cambie no es extraño.

    Al prossimo giro, tango - foto di Enrico Ratto
    Al prossimo giro, tango - foto di Enrico Ratto
    Già, e al prossimo giro, tango.

    ~ Foto e testi di Enrico Ratto ~
  • 2 commenti:

    1. Ma scusa..? E il tango :-D ? Bell'articolo! Ciaoo! dueingiro.blogspot.it

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      1. Il tango, il tango! Lo vogliamo la prossima volta ;-)
        Un bacio!!

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