Storia di un CD del quale avevo ascoltato soltanto quattro tracce
Questo motivo, dovete saperlo, mi ha stregato. Lo ritrovo come una malìa dentro ai gesti silenziosi degli sconosciuti in metrò, nella danza di una foglia autunnale, in molti sorrisi. Mi ammalia e io sono come un serpente che si leva dal suo cesto per inseguire l’illusione di un suono. Negli attimi intensi questo motivo torna da me e mi rimbalza addosso, mi sussurra all’orecchio, mi carezza in segreto. Mi parla nota dopo nota di una passione, di un amico, di un sogno dimenticato. Come un amante egoista arriva e quando vuole se ne va.
Mi ci abituo, rinuncio a scoprire da dove venga, a identificarlo. Fino a che ieri mi capita di salire in macchina: sistemo il sedile, allaccio la cintura, infilo la chiave, metto in moto. La radio si accende automaticamente sull’ultima stazione radio su cui l’avevo lasciata, Rai Radio 3. E, come avrete già capito, lo sento.
La musica continua - il pianoforte che bene conosco - e quando arrivo al semaforo la musica finisce. Una speaker che mi pare pizzichi leggermente la s pronuncia il nome del pezzo, io lo annoto con uno scarabocchio sul retro di uno scontrino. Ma non serve, io quel nome lo ricordo e ricorderò comunque: Eric Satie, Gnossiennes 1. Spiega anche che il titolo ha un significato controverso e deriva dalla parola gnosi, ovvero conoscenza, e non siamo sicuri ma crediamo che Satie fosse gnostico e a questo volesse alludere. Oppure deriva da Cnosso, con riferimenti agli antichi miti della Gracia classica. Di colpo sapevo così tanto su quella musica fino a un attimo prima sconosciuta.
E adesso indovinate un po’, apro l’astuccio del CD, leggo i titoli delle tracce. La ventesima traccia sono le Gnossiennes di Eric Satie. Quella musica era mia, l'avevo in casa e non lo sapevo. Non avevo approfondito, non avevo ascoltato il CD fino in fondo. Non avevo dato nessuna possibilità a quella musica di arrivare a me.
Ho scoperto grazie a Google che la Glossienne è stata utilizzata per un sacco di film, devo averla ascoltata nel film Il velo dipinto, tratto dal capolavoro di Somerset Maugham, The Painted veil. Una struggente storia di amore, immaturità e scoperta.
E’ importante non avere fretta, non essere superficiali, non trascurare di fermarci a guardare anche la sosta della formica, come scrive Roberto Roversi.
Non correre. Fermati. E guarda.
Guarda con un solo colpo dell’occhio
la formica vicino alla ruota dell’auto veloce
che trascina adagio adagio un chicco di pane
e così cura paziente il suo inverno.
Guarda. Fermati. Non correre.
Tira il freno alza il pedale
abbassa la serranda dell’inferno.
Guarda nel campo fra il grano
lento e bianco il fumo di un camino
con la vecchia casa vicina al grande noce.
Non correre veloce. Guarda ancora.
Almeno per un momento.
Guarda il bambino che passa tenendo la madre per mano
il colore dei muri delle case
le nuvole in un cielo solitario e saggio
le ragazze che transitano in un raggio di sole
il volto con le vene di mille anni
di una donna o di un uomo venuti come Ulisse dal mare.
Fermati. Per un momento. Prima di andare.
Ascoltiamo le grida d’amore
o le grida d’aiuto
il tempo trascinato nella polvere del mondo
se ti fermi e ascolti non sarai mai perduto.
Prendetevi, vi prego, il tempo di ascoltare questa musica meravigliosa.
Sarebbe un peccato perderci il meglio delle cose soltanto perché abbiamo questa strana, irrazionale, scomposta fretta di fare tutto.