• Quell'hammam vicino alla moschea...

    La grande Moschea siede carismatica e quasi minacciosa nel trono del suo colle. La Sülemaniye camii, costruita dall'architetto Sinan per il Sultano Solimano detto il Magnifico, è alta ed elegante. E' uno dei simboli di Istanbul,  la si vede fotografata dal ponte che da Karakoy porta a Eminönü - quel ponte dove tutti stanno lì a pescare - alle porte del Corno d'Oro. 


    Attorno a lei c'è sempre un gran traffico durante il giorno: i turisti accorrono per vedere lei, perché è stata da poco restaurata (magnificamente) da un noto architetto francese, ed è tornata a splendere. In mezzo alle torme di visitatori, ai lustrascarpe e ai venditori ambulanti, al susseguirsi dei taxi e dei commercianti del Gran Bazar, è impossibile cogliere il suo aspetto veramente spirituale e solenne. Per farlo bisogna arrivare qui di sera, tra i canti dei mufti al tramonto, e trovarla così: vuota, cerulea.


    Di un azzurro etereo. Tra i minareti illuminati e l'odore di legno delle botteghe artigiane della città vecchia, sulle luci di una Istanbul su cui cala lentamente una notte tiepida, limpida, senza vento. Entrando dal retro si attraversa un prato terrazzato che si apre sulla sinistra in uno dei panorami più belli che potrete mai ammirare in questa città. Poi si entra nel cortile della moschea, e sembra davvero di stare in un altro dove, e in un altro quando.


    Ci si sente lontani, in una fiaba o in una rêverie ottomana degna della fantasia sovreccitata di un pittore orientalista, camminando su un marmo consumato da centinaia di passi, a sbirciare dalle pesanti grate delle finestre da cui si intravedono grandi candelieri scintillanti. I mufti sono in preghiera.


    I tappeti rossi, divisi in cellette che rappresentano ognuna un posto di preghiera, sono morbidi e lucidissimi. Non ci sono molti orpelli, né vetrate sontuose, e nemmeno troppe decorazioni, maioliche o azuleios, come nella più famosa moschea Blu.


    Eppure, è proprio questa sobrietà a renderla speciale. Questa moschea ha la grandezza e l'asciutta spiritualità di una chiesa gotica. Vicina ai luoghi dell'inconscio, agli incubi forse, e alle manie di grandezza che si celano dietro alle nostre paure più ancestrali. Si parla della paura della morte, della solitudine e dell'oblio. Del bisogno di innalzarci verso qualcosa di più alto, e di farlo in silenzio, e con slancio. Ecco perché questa moschea è così grande: non intende nascondersi, vuol parlar chiaro. Parla di quelle angosce che sono comuni a noi tutti esseri umani, religione a parte. Perché grande, enorme è la nostra paura della morte.


    Uscendo dalla moschea sulla sinistra si torna sul prato che si affaccia su una Istanbul illuminata e silente,  data l'ora: le sue mille luci sono anche i miei pensieri, la mia gioia di stare al mondo, di poter attraversare così l'inconscio e le paure, e poterne uscire ancora una volta indenne.


    Il passo successivo è provare l'hammam annesso alla moschea: non sono in molti a saperlo, ma è ancora in funzione, e dal 1557 ad oggi ha subito numerosi restauri. Così, con la carnalità del bagno turco, tra i suoi fumi e i suoi vapori, si può passare dalla dimensione spirituale a quella fisica. Che sono indissolubilmente legate. 

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