• Fino al nocciolo (non quello nucleare)

    Oggi la sento. Come si sente nascere una risata o una gioia, direttamente dalla parte più vera e fisica di noi che presiede alle emozioni. Oggi finalmente sento l'estate!


    Tale stato d'animo si accompagna per me necessariamente al sole, a un cielo il più possibile azzurro. Il cielo, forse, funziona un po' come uno specchio, e il blu è il colore in cui preferisco vedermi riflessa. La gioia che sento oggi è palpitante, viva e senza argini. Arriva da un punto preciso e fisico, da quello che i greci chiamavano θυμός - la dimora dei sensi, del pensiero - situato alla bocca dello stomaco, non lontano dal cuore.

    Questo tripudio di sensi spontaneo e profondo, dello stesso blu del nocciolo-anima che si specchia nel cielo, può accadere solo d'estate. Ne sono certa.

    Quest'anno, più che mai, ho dovuto attendere che la stagione cambiasse. Qualcosa mi bloccava, mi teneva ancorata ai mesi appena trascorsi, così difficili e intensi, e per molti versi indimenticabili.


    Tra febbraio e marzo ho perso uno dei miei migliori amici, ho intravisto le trappole della vita borghese, assistito alle contraddizioni esasperate del capitalismo spinto della società giapponese, e ho vissuto la paura più grande della mia vita. Ho sperimentato stati di ansia - o paura - incontenibili.

    Una paura che ha inghiottito con sé dolore e smarrimento, razionalità e buona parte del sonno dei miei mesi a venire: parlo dal terremoto, seguito a ruota dalla minaccia nucleare. Mi ero appena riavuta dal dolore della scomparsa del mio amico e bang! - proprio prima del mio compleanno, la terra ha tremato.

    A questi eventi rovinosi segue sempre uno stato di emergenza, un momento di crisi che nei libri di storia vecchio stampo viene spesso denominato carestia. La carestia che segue una guerra - o un terremoto, uno tsunami - esiste davvero: il cibo scarseggia, dalla capitale non arriva più niente perché la benzina e la corrente elettrica sono razionate, le linee telefoniche sono intasate. Ma la carestia, anche, la senti dentro. Così è stato in Giappone.

    L'unidici di marzo Fukushima è una pentola a pressione. Il panico si taglia con il coltello. La minaccia di una catastrofe nucleare, appesa come una spada di Damocle sulla testa, ci tiene tutti svegli: una paura tangibile, un pensiero unico devastante che incrocio in ogni sguardo, in ogni silenzio, in ogni sorriso forzato, che dice: tra un po' saltiamo tutti in aria, e tanti saluti.

    Ma il tempo e la volontà fanno miracoli. I Giapponesi si stanno dando un gran da fare per risalire la china e ricostruire la loro identità nazionale, la cosa cui tengono di più, più della loro stessa vita - e parlano di energie rinnovabili. Si respira l'aria del dopo carestia, la ricostruzione, e una spinta verso una società meno occhiuta, come direbbe la mia amica Claudia, insieme alla consapevolezza che la natura è e sarà sempre più forte dell'uomo, non importa quanta tecnologia ci si metta di mezzo.

    L'estate, la nuova stagione, mi separa da questo passato prossimo che resterà con me per sempre, non più greve come un veleno mortale ma propio parte di me, metabolizzato come una proteina, digerito come un aminoacido, un po' pesante questo è certo. Ma il ruttino l'abbiamo fatto.

    Mi verrà anche voglia di riparlare presto del Giappone, delle strane esperienze che abbiamo vissuto, delle vicende eccellenti cui ci siamo trovati ad essere parte, di quel che abbiamo appreso, e dimenticato.

    Immaginare tutto non si può: le esperienze vanno vissute e poi raccontate, spartite come si spartiscono l'acqua e il pane in montagna.

    Siamo tutti compagni in questo strano cammino che è la vita: ad alcuni piace stare nel seminato, seguire il sentiero più battuto, e va bene così. Ad altri, invece, piace la via più tortuosa, quella meno ovvia e più insidiosa, preda dei venti e delle intemperie del caso. E va bene così. Almeno avremo qualcosa di cui parlare.

    Nei giorni del terremoto ho scritto questa poesia piena di paura, immagini oniriche e speranza. Ho deciso di rileggerla qualche sera fa, e mi ha fatto uno strano effetto. Sembrava così fuori posto, ora! Ora che non dobbiamo preoccuparci di sigillare le finestre, da cui entra una brezza marina fresca di salsedine, non quell'aria malsana e pesante, sporca di particelle atomiche impazzite. Non dobbiamo coprirci la faccia con panni bagnati, poi correre come matti trattenendo il fiato, con la fretta nel culo, e lavarci mille volte dalla testa ai piedi fino a grattar via dalla pelle le temperie radioattive.

    Ora la mia finestra si apre sul cielo, dove non volano corvi ma gabbiani. E non devo più fingere di essere vicina a un porto, perché il porto è qui a due passi...


    Fuga da Grigio G.

    Sul bambù, al limite del campo
    Corvi appollaiati alti e stanchi
    su rami senza petali, fino a sera

    L'isola che ha illuso le mie giornate

    Ora, nessuna promessa, né vani orizzonti, né stanche sirene
    solo il mare che ci circonda, i rari sorrisi, che l'Onda ha squassato via.
    L'uomo non vince sulla natura
    nemmeno se l'inquina, o la cede in cambio di un bonsai,
    nemmeno se l'immerge nel cemento, o se massacra a sangue le balene. 

    La terra ha tremato, e ancora trema, e noi senza una domanda
    tra le sagome scomposte degli oggetti
    inutili, al freddo, tratteniamo il respiro

    Attendo la fuga prossima, preannunciata dalla pioggia:
    il tramonto tiene lontane le stelle
    sparpagliate nelle costellazioni

    Al buio, quei corvi gracchiano alti
    e gracchiano ancora.
    Tacevano prima del terremoto
    e ora gracchiano che sembran gabbiani 
    e al risveglio, mi faran pensare, 
    sei su una braca, 
    e il porto è vicino...

    ~

    Questa era la mia vita in Giappone 4 mesi fa. In un'altra stagione, lontano da Istanbul.
    Ora so che voglio un porto - lo vogliamo tutti- e il sole in un cielo blu pulito, libero da nubi e minacce, in una perenne estate di felicità che arriva fino al nocciolo. 
    E non quello della centrale nucleare. 

    Il tramonto dell'11/3/2011 - il giorno del terremoto
  • 4 commenti:

    1. il PORTO è certamente l'approdo dove tutti vogliamo attraccare ma deve essere IL PORTO SICURO
      l'esperienza che hai maturato ti suggerirà quale potrà essere il tuo attracco

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    2. Grazie...bel commento...mi hai fatto tornare in mente Ungaretti con il suo "Porto Sepolto", altroché...

      IL PORTO SEPOLTO.
      Mariano il 29 giugno 1916.

      Vi arriva il poeta
      E poi torna alla luce con i suoi canti
      E li disperde

      Di questa poesia
      Mi resta
      Quel nulla
      Di inesauribile segreto.

      ~ Giuseppe Ungaretti

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    3. Brava Eli.
      Si cominciano a vedere i primi germogli.
      Come fiori che spuntano dal cemento.
      La tragica fine della tua esperienza giapponese ti permetterà di godere ancor di più della vita, del tuo respiro e del porto che vive dentro te. Proprio lì, nella bocca dello stomaco.

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    4. Anche io penso che il porto più importante sia quello che ci portiamo dentro...quell'attracco sicuro, che ci permette di ritrovarci sempre, ovunque siamo. Grazie per la tua fiducia!

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